L’affidamento in prova al servizio sociale (art.47 O.P.) è una misura alternativa al carcere, che può essere chiesta dall’imputato condannato ad una pena detentiva
Si tratta quindi di un istituto previsto nell’ambito dell’esecuzione della pena.
Il nostro ordinamento giuridico prevede infatti che, qualora un imputato venga condannato ad una pena detentiva che non superi i 4 anni di reclusione, lo stesso possa chiedere al Tribunale di Sorveglianza di commutare la pena detentiva nella misura dell’affidamento in prova al servizio sociale.
Nel caso in cui la pena da scontare non superi i 4 anni di reclusione (prima della riforma del 2014 c.d. “svuota carceri” il limite era di 3 anni), all’imputato verrà notificato un ordine di esecuzione pena sospeso per il termine di 30 giorni. In pendenza di questo termine il condannato, per il tramite di un difensore di fiducia nominato ad hoc con procura speciale, può inoltrare istanza al Tribunale di Sorveglianza del luogo ove va eseguita la pena, per chiedere di essere ammesso a scontare la sua condanna fuori dal carcere, in regime di affidamento in prova.
Non è scontato che una volta presentata l’istanza di affidamento, questa venga sicuramente accettata.
L’imputato che chiede di essere ammesso all’affidamento al servizio sociale deve infatti dare prova della sua buona condotta di vita, di aver reciso il suo legame con l’ambiante criminale e di procurarsi i mezzi di sostentamento in modo legale.
Una volta presentata l’istanza nei 30 giorni, si dovrà poi attendere la fissazione dell’udienza innanzi al Tribunale di Sorveglianza, che dovrà poi decidere sulla richiesta.
Viene chiamato affidamento in prova al servizio sociale, perché tra le caratteristiche di questa misura vi è la necessità che il condannato, nel suo percorso di recupero, venga seguito dai servizi sociali, che ricoprono un ruolo fondamentale. È infatti l’assistente sociale che si relaziona con il Giudice di sorveglianza e lo informa dell’andamento della misura e del comportamento serbato dal condannato.