Di recente, la Giurisprudenza della Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al momento in cui, può essere presentata la richiesta di sostituzione della pena detentiva, da parte della difesa dell’imputato.
È stato stabilito che, affinché il Giudice d’Appello sia tenuto a pronunciarsi in merito all’applicabilità o meno delle nuove sanzioni sostitutive di cui all’art.20 bis C.P., è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, che deve essere formulata, non necessariamente con l’atto di appello o in sede di “motivi nuovi“, ma che deve comunque intervenire, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione d’appello.
In Diritto
È stato infatti sottolineato, come tale interpretazione non è preclusa dal principio ricavato dall’art.597 comma 5 C.P.P., secondo cui il Giudice non ha il potere di applicare d’ufficio le sanzioni sostitutive in assenza di specifica richiesta sul punto formulata con l’atto d’appello, non rientrando le sanzioni sostitutive tra le ipotesi tassativamente indicate dalla suindicata norma.
Detto principio deve essere, infatti, coordinato con la disciplina transitoria, che sancisce espressamente l’applicabilità delle nuove pene sostitutive, in quanto più favorevoli, ai giudizi d’appello in corso all’entrata in vigore del d.lgs. n.150/2022, senza porre limitazioni attinenti alla fase, introduttiva o decisoria, del giudizio stesso.
Pertanto, la richiesta dell’imputato può essere formulata con l’atto d’appello, con i motivi nuovi, o anche nel corso della discussione del giudizio d’appello. Si tratta, in questo caso, dell’interpretazione maggiormente conforme all’intenzione del legislatore di favorire la più ampia applicazione delle pene sostitutive.
In tal senso, deve leggersi anche l’indicazione presente nella Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n.150, secondo cui “l’applicabilità delle nuove pene sostitutive nei giudizi di impugnazione può apparire distonica; è tuttavia imposta dal rispetto del principio di retroattività della lex mitior – una diversa scelta si esporrebbe al rischio di una dichiarazione di illegittimità costituzionale – e, comunque, promette possibili effetti deflattivi (ad es., nel contesto del c.d. patteggiamento in appello)“.