Con una recentissima pronuncia la Corte Suprema di Cassazione ha stabilito come una convivenza anche solo di due mesi sia sufficiente per catalogare come maltrattamenti in famiglia, le aggressioni compiute da un uomo ai danni della sua compagna.
Inequivocabili, secondo i Giudici, sono i comportamenti violenti tenuti dall’uomo nei confronti della compagna, tali da poter parlare di maltrattamenti in famiglia.
Centrale è la questione della convivenza.
Hanno osservato i Giudici come, la convivenza tra l’uomo e la donna (convivenza iniziata subito dopo la nascita di una figlia) debba ritenersi orientata verso aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, nonché da una sintonica progettualità di vita, oltre che dalla condivisione dell'abitazione.
Anche se la convivenza dura solo da pochi mesi e si è, quindi, protratta per un arco temporale non particolarmente lungo, qualora tale periodo venga definito in modo eloquente dalla donna come “un inferno” – tale stato di sopraffazione è sufficiente, da solo, affinché possa dirsi integrato il reato; senza considerare tra le altre cose, che la persona offesa aveva riferito di essere stata colpita e subito lesioni personali.
La difesa
La difesa aveva evidenziato come, il presupposto del delitto di maltrattamenti in famiglia sia la convivenza e non la mera coabitazione e che quindi era necessaria la prova di una relazione affettiva qualificata da continuità e stabilità. Sempre secondo la difesa non poteva dirsi configurato il reato, stante la mancanza di un progetto di vita comune ovvero di un’organizzazione stabile della quotidianità.
Secondo i Giudici di Cassazione, però, le obiezioni difensive non sono sufficienti a mettere in discussione la qualificazione dei comportamenti tenuti dall’uomo nei confronti della compagna.
Va quindi applicato il principio secondo cui l'estensione dell'arco temporale in cui si manifestano le condotte maltrattanti costituisce un dato tendenzialmente neutro ai fini della configurabilità del reato, sempre a condizione che le condotte vessatorie siano state poste in essere in maniera continuativa o con cadenza ravvicinata.
È evidente infatti, come l’abitualità nella condotta tenuta dall’uomo doveva essere desunta dal compimento di svariate aggressioni nell’arco di due mesi, oltre che dalle minacce e dalle offese, che avevano prodotto un sicuro stato di prostrazione nella donna: comportamento che ben può integrare il reato di maltrattamenti in famiglia.