Il Regolamento (UE) 2016/679 approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio alla data del 27 aprile 2016 (anche conosciuto come GDPR) “relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati” stabilisce i criteri a cui si devono uniformare tutti i paesi membri della Comunità Europea in materia di diritto all’#oblio.
Con il diritto all’oblio si sancisce il diritto dei cittadini a non rimanere esposti con una rappresentazione della propria persona non più aderente all’attualità dei fatti, a causa della riproduzione di notizie ed informazioni a distanza di notevole tempo da quando si verificarono gli accadimenti, che comportano un danno alla reputazione ed all’immagine della persona coinvolta.
Il diritto all’oblio assume notevole importanza in ambito penale, nel momento in cui il nome di una persona viene accostato ad inchieste giudiziarie che balzano agli onori della cronaca.
In questo caso si parla di un vero e proprio diritto della persona ad essere “dimenticata” e non essere più ricordata in relazione a casi di cronaca che lo hanno suo malgrado visto protagonista.
Nell’ambito di indagini penali capita di sentire “divulgati” nomi di soggetti, che ancor prima di essere giudicati (magari tratti in arresto a seguito dell’applicazione di una misura cautelare), vengono immediatamente additati dagli organi di informazione come i veri responsabili. In un paese dove più del 50% delle persone detenute in carcere in regime di custodia cautelare, poi esce definitivamente dal procedimento penale, si capisce quali conseguenza e che danni possa arrecare una “pubblicizzazione” delle inchieste giudiziarie.
La normativa
Il diritto all’oblio tutela quindi il trattamento dei dati personali e loro divulgazione e conferisce il diritto in capo al soggetto interessato di vedere cancellate certe notizie apparsi sul web o sugli organi di informazione.
Il diritto all’oblio prevede anche la possibilità di impedire che una notizia, che a suo tempo era stata legittimamente pubblicata, venga riproposta e reindicizzata nei motori di ricerca ed impedire così che lo “stigma” si perpetui creando una vera e propria gogna mediatica.
La norma che regolamenta il diritto alla cancellazione dei propri dati personali e la rimozione delle notizie pubblicate sul web è contenuta nell’art.17 del GDPR che prevede “prevede il diritto alla cancellazione dei dati personali, indipendentemente dal fatto che essi siano stati resi pubblici o meno”.
La sentenza del 13 maggio 2014 ha sul caso #Google Spain ha rappresentato uno spartiacque fondamentale sancendo la responsabilità per il motore di ricerca che è stato ritenuto l’unico responsabile del trattamento dei dati personali e della pubblicazione delle notizie sul web.
Sul punto si è espressa anche la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza delle Sezioni Unite n.19681/2019 con la quale sono stati stabiliti i limiti entro i quali va individuato il diritto all’informazione ed il diritto del soggetto a veder cancellati i propri dati personali in riferimento ad un’inchiesta giudiziaria. Gli ermellini hanno stabilito che è dovere del Giudice valutare l’interesse pubblico, che deve essere concreto ed attuale, a che una notizia venga portata alla ribalta dell’opinione pubblica.