La morte di Donato Bilancia in carcere, dopo aver contratto il COVID, impone a tutti gli operatori del diritto una riflessione: è giusto morire di Covid in carcere?
La situazione dell’epidemia da COVID-19 si sta aggravando sempre di più, in questi ultimi giorni che precedono il natale.
La seconda ondata sta attanagliano l’Europa intera e tutti i governi stanno adottando misure sempre più restrittive, per cercare di contenere il numero dei contagi.
Purtroppo sta passando sotto silenzio l’allarmante situazione delle carceri italiane che non vengono risparmiate dal virus.
Numerosi sono ormai i detenuti che hanno contratto il coronavirus e tanti sono anche gli agenti di polizia penitenziaria e gli operatori che tutti i giorni lavorano nelle carceri, che sono risultati positivi al contagio.
Le misure che sono state adottate dal governo sono risultate insufficienti e pare che l’opinione pubblica si sia dimenticata delle rivolte dei detenuti di metà marzo.
Il ministro della giustizia ha deciso di intervenire privilegiando il principio “della certezza della pena”, sacrificando senza remore i diritti dei detenuti.
Sono molti i carcerati che da mesi non hanno più colloqui con i loro familiari, situazione che nel periodo natalizio ha un peso ancora maggiore per persone che vivono nell'attesa di poter incontrare familiari e parenti.
Nonostante le polemiche sorte dopo alcune scarcerazioni avvenute in seguito all’approvazione del decreto “Cura Italia”, l’incidenza della norma è stata molto ridotta.
Sembra ignorare il ministro Bonafede il pericolo della diffusione del virus in luoghi dove vi è un’alta concentrazione di persone in luoghi in cui è impossibile il distanziamento sociale.
Numerosi sono stati gli appelli dell’avvocatura per l’applicazione di norme ad hoc che avessero un impatto maggiore, ad oggi si è provveduto a mandare ai domiciliari solo i detenuti con un residuo pena inferiore ai 18 mesi, escludendo quelli che si sono macchiati di delitti gravi.